PARTIGIANI IN POLIZIA… A NETTUNO

Nel suo ultimo saggio Gianfranco Stella ci racconta una storia dimenticata

Nel Novembre 2023 è uscito quello che è stato annunciato come l’ultimo saggio storico di Gianfranco Stella: 1945 Killer in Polizia. La Polizia partigiana nelle Questure, stampato in proprio, con la collaborazione di Stefano Pierucci, e distribuito, tra le altre, dalla Libreria Europa di Roma (06.39.72.21.59).
Stella non ha certamente bisogno di presentazioni, gli ultimi suoi studi, presentati come “saggi storici sulle atrocità dei partigiani”, hanno avuto il merito non solo di catalogare i crimini contro l’umanità commessi dai ribelli illegittimi belligeranti in Italia nel corso finale della Seconda Guerra Mondiale ma, per la prima volta, di dare loro un nome e cognome, un volto. Un’opera senza precedenti, che ha sfidato a viso aperto, con onestà intellettuale e soprattutto con grande coraggio, istituti della Resistenza ed associazioni partigiane che per decenni, quei delitti immondi, avevano nascosto, se non giustificato. Un’attività di ricerca che è divenuta una vera e propria missione di vita, unendo alla carità cristiana una granitica sete di giustizia. Quella carità, quella giustizia, che è sempre stata negata ai caduti della Repubblica Sociale Italiana.
Quello che è stato presentato come il suo ultimo lavoro – noi speriamo ovviamente di no – ci riporta al primo dopoguerra, quando, occupata la nostra Nazione dagli Angloamericani, ci si domandò che fare dei ribelli, in maggioranza comunisti, che avevano fomentato per un biennio la guerra civile, ammazzando e facendosi ammazzare, nel miraggio di una prossima rivoluzione socialista.
Stalin aveva ben istruito Togliatti sul futuro dell’Italia, “abbandonata” alla sfera capitalista, e per il PCI non restò altra strada di tentare la conquista del potere per via democratica. E i partigiani? Quelli saliti in montagna per fare la rivoluzione? Ebbene, indigesti a tutti, dovevano essere messi nelle condizioni di non nuocere e per questo subito disarmati dagli Alleati e “liquidati” dallo stesso PCI.
Togliatti, tuttavia, non voleva certamente privarsi di questa forza armata e si dispose, parallelamente all’occultamento delle armi per il “momento buono”, un loro inserimento nella nuova Polizia che sorgeva sulle ceneri di quella “fascista”, epurata degli elementi più compromessi se non con il Regime, almeno con la RSI. La nuova Polizia, in mano al PCI, era salda garanzia che le “conquiste” rivoluzionarie della Resistenza non sarebbero state disattese nel futuro, preparando al Partito Comunista l’ascesa al potere.
Tra il 1945 e il 1946 furono immessi nel Corpo Pubblica Sicurezza, in qualità di Agenti ausiliari, ben 17.000 ribelli: “Alla fine, e per tutto il ’47, nelle Questure di mezz’Italia erano in servizio stupratori, rapinatori e assassini, indistinguibili nelle loro divise dai veri servitori dello Stato” (pag. 307). “Le Questure dal ’45 al ’47 non avevano garantito l’esercizio del diritto, anzi erano diventate luoghi di commissioni di altri reati, di sparizioni, di insabbiamento di denunce, di soprusi e di arresti arbitrari” (pag. 314).
In questo quadro anche Nettuno – la città che ha dedicato una via ad un ribelle accusato dai suoi stessi compagni di stupro e duplice omicidio di innocenti – ebbe un “ruolo”. Infatti, presso la Caserma “Piave”, negli edifici che fino al Settembre 1943 avevano ospitato la storica e prestigiosa Scuola di Tiro di Artiglieria, venne istituita una Scuola Allievi Guardie di PS. Finiva davvero un’era, la Scuola di Tiro di Artiglieria non ritornerà mai più nella cittadina, lasciando un vuoto incolmabile. Molti partigiani, nella veste di Agenti ausiliari, vennero spediti a Nettuno, anche per allontanarli dalle “zone calde” in cui era vivo il malessere per i loro comportamenti.
Nel 1946 furono riaperte le Scuole di Polizia di Nettuno e Salerno ove la mansione di istruttore era demandata a ex partigiani che durante la Resistenza fossero appartenuti a Brigate di Polizia, come quel ‘Libero’, agli ordini del quale, nel Veneto durante gli ultimi mesi della lotta di liberazione e nel successivo Maggio, erano state eseguite decine di soppressioni, generalmente di prigionieri di guerra. Per due anni ‘insegnò’ alla Scuola Allievi Guardie di Pubblica Sicurezza di Nettuno” (pag. 302). “Nel ’47 emigrò in Venezuela poco prima di essere arrestato” (foto).
Alla fine del ’45 l’ex Comandante partigiano ‘Barbanera’, era entrato nella Polizia prendendo servizio alla Questura di Modena. Aveva superato le maglie della prima epurazione scelbiana e, dopo aver frequentato il corso di addestramento a Nettuno, nel ’47 era stato destinato alla Polizia Ferroviaria di Milano.
Fu sospeso l’anno successivo perché imputato nell’omicidio di Umberto Merli, quel bambino di 10 anni che aveva ucciso il 31 Luglio ’44. E anche nel ’50, quando la Procura di Bologna dichiarò di non doversi procedere per intervenuta amnistia, gli rimase preclusa la permanenza in servizio. […] Riuscirono a farlo riassumere e farcelo rimanere fino alla pensione
” (pag. 310).
Con la fine dell’idillio ciellenista e l’inizio della Guerra Fredda, i Governi democristiani pensarono bene di liquidare i partigiani inseriti come Agenti ausiliari nella Polizia nelle “giornate di passione” del 1945. Ovviamente, la sinistra si mobilitò in loro favore, facendoli assumere nelle amministrazioni dello Stato, nel Corpo dei Vigili Urbani ad esempio, come nelle straordinarie fucine di posti di lavoro che erano diventati i Comuni ormai in balia dei partiti politici: messi, bidelli, stradini, uscieri, custodi di cimiteri… posti di lavoro a go-go, a chiamata diretta, senza nessun controllo.
Mancanza di titoli di studio, trasferimenti in altre regioni, incredibili agevolazioni economiche, ottennero il risultato sperato, epurando la Polizia dagli elementi comunisti che fino ad allora ne avevano condizionato l’impiego e l’operato, aprendo la strada ad una riforma generale e alla creazione della famosa “Celere” che si oppose fisicamente, per tutti gli anni ’50 ed oltre, al sovversivismo comunista nelle strade d’Italia.
Ai comunisti che abbandonavano la Polizia si fecero, nel più classico stile democristiano, “ponti d’oro”: “Si arrivava non soltanto a concedere un premio, ma l’annata intera [sei mesi, nd’A] di stipendio anche a chi era stato assunto da appena un mese” (pag. 314).
I vuoti così aperti nell’organico furono riempiti attraverso la chiamata del personale epurato ai “bei tempi” della “liberazione”, perché accusato di fascismo. In particolare, vennero richiamate in servizio le Guardie della prestigiosa Polizia dell’Africa Italiana (Legge n. 326 del 14 Maggio 1949), scioltasi all’indomani dell’occupazione angloamericana di Roma del Giugno 1944.
Non pochi comunisti rimasero in servizio, tra questi coloro che saranno molto attivi nel campo sindacale e saranno tra gli alfieri della triste smilitarizzazione della Polizia del 1981: “Quattromilaquattrocento ex partigiani ‘progressisti’ fra i quali, indubbiamente, alcune centinaia di assassini” (pag. 315).

Pietro Cappellari

G.c. Archivio Storico Alberto Sulpizi